OLTRE IL MINUTO: Da 800 anni le stimmate di Francesco «medicina» per le ferite del mondo

A volte, di fronte a segni soprannaturali che coinvolgono l’esistenza di un santo, si può correre il rischio di disincarnarli e di proiettarli fuori dal tempo e dallo spazio. Se però si approfondisce la biografia (lontana da una certa agiografia, che rischia di portarci fuori strada), ci rendiamo conto che ogni segno prodigioso nella vita di una donna o di un uomo di Dio non è mai disgiunto dall’esperienza esistenziale che sta vivendo. Fu così per Francesco d’Assisi nel settembre 1224, quando «nel crudo sasso intra Tevero e Arno da Cristo prese l’ultimo sigillo, che le sue membra due anni portarno». È così che Dante, nella Commedia, con poche, puntuali pennellate poetiche descrive le stimmate che si impressero sul corpo del Poverello d’Assisi.

Sono passati otto secoli da quell’evento e una sua rilettura è utile per coglierne tutto il senso e tutto il valore. È questo che la grande famiglia francescana, composta di religiosi, religiose, laici intende fare domani, proprio nel santuario in provincia e diocesi di Arezzo, aprendo il centenario delle stimmate. Un anno che si incastona nel più ampio percorso che la Famiglia francescana ha inaugurato nell’anno appena trascorso, ricordando gli otto secoli dalla approvazione della Regola bollata (29 novembre 1223) e dalla realizzazione, da parte di Francesco, del primo presepe, a Greccio, e che si concluderà nel 2026, quando saranno ricordati gli otto secoli dalla morte del patrono d’Italia.

Mentre, dunque, la Chiesa ci fa vivere il tempo liturgico del Natale per meditare e guardare «con gli occhi della carne», come desiderò il Poverello, l’umiltà di Dio, si staglia, dentro questo mistero dell’incarnazione, l’altro mistero: quello di un Dio che muore sulla croce per salvare ogni uomo di ogni epoca. Quando Francesco, nel settembre 1224, salì sul monte della Verna, era un uomo ferito. Profondamente ferito. La stesura della Regola aveva in qualche modo sfibrato il suo cuore: avvertiva la distanza tra lui e gran parte della fraternità e sentiva che quella Regola non gli apparteneva del tutto. Per questo aveva scelto di fare un passo indietro lasciando la guida dell’Ordine. Era come se avvertisse, infatti, che tutto ciò che aveva intuito nel periodo della sua conversione e che lo aveva portato ad abbracciare il Vangelo «sine glossa», si fosse deformato. «Chi sono io? E chi sei Tu?» fu la domanda che Francesco portò con sé salendo a La Verna, monte che gli era stato donato da un nobile amico. Si era ritirato lì per fare di nuovo esperienza intima di Dio. Capiva, infatti, che doveva prima di ogni altra cosa sintonizzarsi di nuovo sulle frequenze dell’Amore non amato per poter tornare a vivere la fraternità. Ed è in quel clima di preghiera sofferta, che Francesco chiese a Cristo di poter sperimentare sulla sua carne un poco di quei patimenti che Egli soffrì per noi. E Gesù, che ascolta la sincerità del cuore, realizzò il desiderio di Francesco. Nei giorni intorno alla festa dell’Esaltazione della Croce, il Poverello ricevette l’apparizione di un serafino alato, che lo «ferì» con la «potenza» dell’Amore. Da Greccio a La Verna, dunque, Francesco passa dal «vedere con gli occhi della carne» allo «sperimentare nella carne».

Non a caso, «Dalle ferite la vita nuova» è il titolo scelto dalla famiglia francescana per celebrare l’ottavo centenario delle stimmate. Il desiderio, infatti, è di riflettere su come per ciascun credente la ferita, la fragilità, la «miseria» interiore, perfino la sofferenza possano diventare feritoie attraverso le quali scorgere un nuovo inizio. Per Francesco fu così. Salito a La Verna portando nel cuore la domanda angosciata «Chi sono io? Chi sei Tu?», ne discese con una risposta che si fa preghiera: «Tu sei bellezza, tu sei mansuetudine, tu sei umiltà, tu sei pazienza». Sono le Lodi di Dio Altissimo, una preghiera che vibra tutto l’amore di un innamorato, che contempla nel profondo il suo Dio e Signore.