Fra Giacomo Bulgaro

Il diario

Il diario spirituale di Fra Giacomo Bulgaro

Dal 9 febbraio 1940 a venti giorni prima della morte, fra Giacomo per obbedienza registrò la “storia dell’anima” sua, raccontando ispirazioni e locuzioni interiori che guidavano le sue giornate. Finito un quaderno, lo consegnava al superiore del convento, in attesa di riceverne un altro per ricominciare a scrivere. Il contenuto del diario lascia una profonda impressione. Racconta il cammino d’un credente che segue il Signore per vie collaudate, sgombre dai tranelli del sentimentalismo e del pietismo. La fede di fra Giacomo posò su basi di solide catechesi, sul ritmo liturgico della Chiesa e sull’imitazione del Signore, sempre più amato. La Madonna fu la sua “maestra”, Colei che continuò ad indicargli come santificare ogni giornata, “in ogni piccola azione”. Fra Giacomo scrisse quanto quella “Voce” gli suggeriva; poi desiderava che lo scritto fosse letto dal suo padre spirituale. Il diario riferisce solo indicazioni di vita spirituale, prive d’ogni contenuto che possa solleticare la curiosità o suscitare meraviglia; registra il dialogo amoroso di fra Giacomo con il Signore e le “voci” celesti che lo guidarono verso la conformazione a Gesù. E’ una raccolta di “letterine d’amore” che trattano della reciproca passione tra il Cielo e la cella del “Poverello di Brescia”.

Alcuni brani tratti dal diario di Fra Giacomo.

La Prima Comunione

Fra Giacomo racconta in terza persona la sua infanzia, identificandosi con l’agnellino che in seguito divenne una pecora smarrita. “I suoi pii genitori erano ammirabili per virtù. Il suo buon padre, iscritto all’arciconfraternita e alla corale della chiesa parrocchiale, era un vivo esempio per il piccolo agnellino. Questi, appena imparò a memoria le risposte della santa Messa, si pose subito a servire Gesù. Oh ineffabile gaudio! Il divino Agnello, discendendo dall’alto dei cieli sui nostri altari, si immolava per la nostra salvezza. Il piccolo Giacomo lo vedeva, lo amava, lo adorava con tutta l’effusione del suo cuore. Gesù gli infondeva tutte le grazie, adornandolo di una celestiale bellezza. Che dire della sua prima Comunione? Quel giorno il cielo e la terra si sono abbracciati in un bacio d’amore. L’Agnello divino, Gesù, discese dal trono dei cieli per andare ad abitare nel piccolo cuore di Giacomo. Dio, il Creatore del cielo e della terra, entrò nel cuore di Giacomo. Il divino Pastore visitò il suo piccolo agnellino e Giacomo lo amava, lo adorava con tutte le forze del suo piccolo essere. Quel giorno è stato memorabile per Giacomo: vide il suo divino Pastore nell’Ostia bianca, candida come la neve. Lo ricevette sulle sue labbra, lo adagiò nel suo cuore, lo adorò, lo adorò, lo adorò. Oh, miracolo dei miracoli! Il piccolo Giacomo, l’agnellino, in quell’sitante sparì: rimase soltanto il divino Pastore, l’Amore divino aveva assorbito il piccolo Giacomo! Giacomo era tutto in Gesù e Gesù era tutto nel suo piccolo agnellino” (Autobiografia, quaderno del 1933, f 22v-26v).

San Luigi

“Cominciavano le sei domeniche in onore di San Luigi. Il parroco fece una calda raccomandazione a tutti i fanciulli e le fanciulle, affinché si accostassero ogni domenica ai sacramenti, per ottenere dal Santo la purezza dell’anima e del corpo. Quelle fervide parole colpirono il piccolo Giacomo, che volle corrispondere ai desideri del suo reverendo parroco. Il buon fanciullo si preparò con preghiere ad onorare degnamente San Luigi, il santo della purezza, per ottenere da lui le grazie necessarie alla sua piccola anima. Ma Gesù lo mise alla prova. La prima delle sei domeniche, Giacomo si alzò di buon’ora per recarsi a ricevere Gesù, il suo divino Pastore. Oh, sorpresa! Non aveva niente da mettere ai piedi, era senza scarpe. Che fare? Gesù mi aspetta, il mio divino Pastore è là, a braccia aperte, pronto ad abbracciarmi. Ebbene, Gesù, io verrò ugualmente e tu non mi rigetterai, nevvero? Io sono poverino, come tu ben sai. Eccomi a te, Gesù! Il divino Pastore abbracciò il suo diletto agnellino, inondandolo di baci” (Autobiografia, quaderno del 1933, f 28v-31r).

Adolescenza

“Giacomo nel santuario della sua famiglia, come ho già riferito, era il sorriso del paradiso. La sua buona mamma, dopo essere rimasta vedova con cinque figlioli, traeva conforto dal piccolo Giacomo. Vedeva che la mano del Signore operava in quell’anima innocente ed ella si abbandonava alle divine disposizioni. In quella casa c’era il paradiso, perché vi abitava il Signore. Giacomo cercava in tutti i modi di non dare il minimo disturbo alla sua buona mamma che, dopo esser rimasta vedova, ebbe a patire varie malattie. Il giovinetto aveva ancora impressa nella memoria la perdita del buon papà, temeva che anche la sua buona mamma non rimanesse a lungo su questa terra e cercava di lenire le sue sofferenze con la sottomissione e l’obbedienza. Giacomo serviva il Signore nell’umiltà, nella carità, nell’obbedienza e nella rassegnazione. Si uniformava in tutto al suo divino Pastore ed era un giglio del paradiso trapiantato su questa terra. La mamma gli dava da temere: la malattia persisteva e questi buoni figlioli correvano il rischio di rimanere orfani. Avevano una zia, sorella della loro buona mamma. Questa zia tanto buona, buona, buona, veniva frequentissimamente a trovare i suoi nipotini. La sua presenza era un sollievo per questi figlioli. La buona zia non risparmiava fatiche e sudori per i nipoti; intraprendeva a piedi il lungo viaggio dal suo paesello alla città, circa 18 chilometri, nel cuore dell’inverno e nell’estate. Era poverissima, ma l’amore le faceva superare ogni difficoltà. La buona e santa mamma andava peggiorando sempre più, si vedeva che era prossima la sua fine. Per lo stato di povertà in cui si trovava, si fece portare in ospedale sperando che le cure avrebbero giovato, ma tutto fu inutile perché la malattia era già troppo avanzata e il tempo della prova era compiuto. Il Signore la accolse nel suo seno il 21 novembre 1898, di domenica, alle ore tre, dopo aver abbracciato i suoi figlioletti”. (diario 1933-34, f .43-48)

Nel peccato

Un coetaneo introduce nella vita di Giacomo, allora ventenne, l’esperienza del peccato. E’ l’inizio del suo distacco dalla pratica religiosa. “Camminava l’agnellino dalle vesti candide come la neve, quando gli si appressò un agnello camuffato. Con i suoi tristi belati si accaparrò l’intera amicizia dell’agnello e, attiratolo in lontane regioni, lo depredò della sua bellezza, lasciandolo esanime, abbandonato. Oh, mio Dio, a che punto mi trovo! Il piccolo agnello, mortalmente ferito, dopo un breve momento si riebbe dallo stato di desolazione, cercava di rialzarsi e di cibarsi del Pane a lui ormai proibito perché aveva posto le labbra al calice del piacere e lo aveva assaporato. Quel povero agnello cercava di rialzarsi e di ritornare sulla via perduta, ma non riusciva: un enorme peso lo schiacciava e da se stesso non poteva reggersi. Povero agnello, in che stato sei ridotto! Non temere, non temere, poiché il divino Pastore è già sulle tue tracce! Cercava di liberarsi da solo e, con vani tentativi, di rialzarsi per tornare al gregge, ma invano, gli venivano meno le forze. Nel suo pietoso stato, si cibava del cibo dei porci. Mio Dio, a che punto sono giunto!” (Autobiografia, Quaderno del 1933, f 51v.53-54v)

La conversione

La vigilia dell’Immacolata del 1913 Giacomo si recò a Corticelle, suo paese natale, per trovare l’anziana zia Caterina, alla quale era affezionatissimo. “Mia zia era tanto buona, mi voleva bene e di frequente veniva a trovarci a Brescia. Portava sempre con sé un po’ di farina gialla e bianca per darla a noi. Era in età avanzata, era di statura bassa, con i capelli bianchi. Era povera, poverissima. Era vedova da tanti anni ed aveva una sola figlia. Camminando verso la sua casa, comperai un po’ di carne, dicendomi: La farà cuocere e se la mangerà con comodo. Era tanto povera! Arrivato a casa sua, mi disse: Ti aspettavo. Mi diede una scodella di caffè e il pane. Mi fece sedere. Io sentivo in me lo strazio morale che mi opprimeva, per il castigo inflittomi dal Signore. Quella mattina la zia parlò per prima e io le riveali tutto e piansi. Ella mi confortò, mi consigliò di rivolgermi alla Madonna della Pieve, nel nostro paese, o alla Madonna delle Grazie in Brescia. Dopo un po’ di sfogo e il conforto che mi diede, mi calmai. Ma la Madonna mi consolò già quella mattina. Io non sono degno di scrivere queste righe: lo faccio per obbedienza. Eravamo soli. Mi sedetti e mangiai. Finito, stavo per andarmene. Misi le mani in tasca per darle qualcosa: era povera e le diedi una lira. Eravamo in piedi quando gliela diedi. Ad un tratto ella pronuncia sopra di me la sua benedizione. La guardai, la fissai, rimasi stupito: i suoi occhi erano pieni di lacrime che colavano sul viso e scendevano fino a terra. La Santissima Vergine ha voluto consolarmi, ha ottenuto dal Signore questo singolare favore: l’Immacolata Concezione. Era l’otto dicembre 1913, giorno tutto dedicato a Lei. Rimiravo la Vergine in alto, in alto. Ella mi guardava con affetto, ma i miei peccati mi struggevano d’amarezza. Contemplavo il cielo, che faceva corona attorno a Lei, l’Immacolata Concezione. Piangevo di tutto cuore. Ero il più peccatore di tutti i peccatori, ma in fondo al cuore una forte speranza nasceva in me, quella di innalzare gli occhi e le braccia a Colei che mi era Madre, benché io fossi stato un figlio ingrato. Lasciandosi l’anima mia a tale speranza, mi prostrai innanzi ai piedi materni di Maria e qual figlio colpevole le esposi il dolore delle mie colpe. La Madonna mi abbracciò. Ero indegno, lo so” (Autobiografia, quaderno non datato, f 63r-69v).

Penitenze

“Una mattina mi trovavo nella chiesa di San Francesco per ascoltare la santa Messa. Era la festa di san Pietro, alle ore 7 circa. Mi trovavo nel primo banco, a sinistra di chi entra dalla porta principale. Recitavo il santo rosario, meditando i misteri dolorosi. Quand’ecco improvvisamente mi trovo sul monte Calvario. Che spettacolo obbrobrioso! Dinanzi a me c’erano i carnefici che inchiodavano il Signore con il martello e io li aiutavo in quest’opera. Vicino a me, a due metri di distanza, c’era la Madonna che piangeva: era inginocchiata, ma io non mi curavo di lei e continuavo l’opera mia. Sparita la visione, spaventato dalle cose vedute, con la testa fra le mani ripetevo: che cosa devo fare, adesso? Quand’ecco un piccolo lume mi rischiara la mente: i santi penitenti del deserto. Uscito di chiesa, quella visione mi scosse per parecchi giorni. Avevo sempre in mente l’ispirazione che Dio mi aveva dato, ma non sentivo la forza di prendere una decisione. Una mattina, era il decimo giorno dalla visione, entrai nella libreria Queriniana e vidi sotto i miei occhi un libretto intitolato “L’Immacolata Concezione”. Da una parte era raffigurato il Bambino Gesù e dall’altra la Madonna: mi ferirono il cuore e presi la risoluzione. Andai a casa, presi del denaro ed entrai in un negozio di ferramenta. Lì comperai uno strumento di penitenza: due metri di catena che cinsi ai lombi, sulla nuda pelle, e portai tre anni senza mai lasciarla. Con questo esercizio di penitenza feci sorridere il Cielo e tremare l’inferno”. (diario 1933-34, f 66-69).

S.Antonio Abate

(f. 37v – 39r) narra come elesse tale santo a patrono. “Un giorno il buon fanciullo passando in una via della città vicino alla Chiesa dei Santi Martiri Faustino e Giovita vide su di una piccola carretta dei libri; il proprietario era un buon uomo. Il buon fanciullo si soffermò a guardare e vide un bellissimo libro: la Vita di S. Antonio abate. Il Santo era dipinto sopra la copertina con dintorno a sé i piccoli animali: era il Santo del deserto. Giacomo lo comprò e se lo lesse. Giacomo, animato all’amore della solitudine, si sentiva con veemenza di imitare il Santo del deserto. Come fare? Il buon fanciullo non potendo in effetti realizzare, si studiò di imitarlo in qualche modo. In quei momenti che l’anima innocente sentiva più d’ogni altro momento lo sprigionarsi dell’effetto della Divina grazia, di innalzarsi alla santità della perfezione, egli si recava fuori della città e salendo sui colli montuosi, si inoltrava nel folto di essi; e circondato dai soli monti, alzava gli occhi al cielo e ringraziava il suo Dio di avere in piccolo modo imitato il grande Santo del deserto”. Nel Diario, poi, ogni giorno dal 5 al 17 marzo 1958 scrive come questo santo gli abbia parlato, preannunciato dalla Madonna, che gli aveva detto: “Celeste figlio, operi secondo lo Spirito Santo. Ora lo Spirito Santo ti dice che S. Antonio Abate ti parlerà. Sono contentissima che questo grande Anacoreta ti parli. E tu, figlio, sii attento alle sue Esposizioni. Ti dirà quanto ha fatto per Amore del Signore. Sono proprio Contenta”.